Qualche parola sull'anima

 L'anima la si ha ogni tanto.

Nessuno la ha di continuo

e per sempre.


Giorno dopo giorno,

anno dopo anno,

possono passare senza di lei.


A volte nidifica un po' più a lungo

solo in estasi e paura dell'infanzia.

A volte solo nello stupore

dell'essere vecchi.


Di rado ci dà una mano

in occupazioni faticose,

come spostare mobili,

portare valigie

o percorrere le strade con scarpe strette.


Quando si compilano moduli

e si trita la carne

di regola ha il suo giorno libero.


Su mille nostre conversazioni

partecipa a una,

ed anche a questo non necessariamente,

poiché preferisce il silenzio.


Quando il corpo comincia a dolerci e dolerci,

smonta di turno, alla chetichella.


È schifiltosa,

non le piace vederci nella folla,

il nostro lottare per un vantaggio qualunque

e lo strepito degli affari la disgustano.


Gioia e tristezza

non sono per lei due sentimenti diversi.

È presente accanto a noi

solo quando essi sono uniti.


Possiamo contare su di lei

quando non siamo sicuri di niente

e curiosi di tutto.


Tra gli oggetti materiali

le piacciono gli orologi a pendolo

e gli specchi, che lavorano con zelo

anche quando nessuno guarda.


Non dice da dove viene

e quando sparirà di nuovo,

ma aspetta chiaramente simili domande.


Si direbbe che

così come lei a noi,

anche noi

siamo necessari a lei per qualcosa.


Le tre parole più strane

Quando pronuncio la parola Futuro

la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,

lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,

creo qualcosa che non entra in alcun nulla.

Ogni caso

Poteva accadere.

Doveva accadere.

È accaduto prima. Dopo.

Più vicino. Più lontano.

È accaduto non a te.


Ti sei salvato perché eri il primo.

Ti sei salvato perché eri l’ultimo.

Perché da solo. Perché la gente.

Perché a sinistra. Perché a destra.

Perché la pioggia. Perché un’ombra.

Perché splendeva il sole.


Per fortuna là c’era un bosco.

Per fortuna non c’erano alberi.

Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,

un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.

Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.


In seguito a, poiché, eppure, malgrado.

Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,

a un passo, a un pelo

da una coincidenza.


Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?

La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?

Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.

Ascolta

come mi batte forte il tuo cuore.

Ad alcuni

Ad alcuni piace la poesia

Ad alcuni -

cioè non a tutti.

E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza,

Senza contare le scuole, dove è un obbligo,

e i poeti stessi,

ce ne saranno forse due su mille.

Piace -

ma piace anche la pasta in brodo,

piacciono i complimenti e il colore azzurro,

piace una vecchia sciarpa,

piace averla vinta,

piace accarezzare un cane.

La poesia -

cos’è mai la poesia?

Più di una risposta incerta

è stata già data in proposito.

Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo

come alla salvezza di un corrimano.


Del non leggere

In libreria con l'opera di Proust

non ti danno un telecomando

non puoi cambiare

sulla partita di calcio

o sul telequiz con in premio una Volvo .

Viviamo più a lungo

ma con minor esattezza

e con frasi più brevi .

Viaggiamo più veloci, più spesso, più lontano

e torniamo con foto invece di ricordi .

Qui sono io con uno .

Là, credo, è il mio ex .

Qui sono tutti nudi

quindi di certo in spiaggia .

Sette volumi - pietà.

Non si potrebbe riassumerli, abbreviarli

o meglio ancora mostrarli in immagini ?

Una volta hanno trasmesso un serial, La bambola

ma per mia cognata è di un altro che inizia con la P .

E poi tra parentesi, chi mai era costui .

Scriveva, dicono, a letto, per interi anni .

Un foglio dopo l'altro

a velocità ridotta.

Noi invece andiamo in quinta

e - toccando ferro - stiamo bene .

Gente sul ponte

Strano pianeta e strana la gente che lo abita.

Sottostanno al tempo, ma non vogliono accettarlo.

Hanno modi per esprimere la loro protesta.

Fanno quadretti, ad esempio questo:

A un primo sguardo nulla di particolare.

Si vede uno specchio d’acqua.

Si vede una delle sue sponde.

Si vede una barchetta che s’affatica.

Si vede un ponte sull’acqua e gente sul ponte.

La gente affretta visibilmente il passo

perché da una nuvola scura la pioggia

ha appena iniziato a scrosciare.

Il fatto è che poi non accade nulla.

La nuvola non muta colore né forma.

La pioggia né aumenta né smette.

La barchetta naviga immobile.

La gente sul ponte corre

proprio là dov’era un attimo prima.

È difficile esimersi qui da un commento:

Il quadretto non è affatto innocente.

Qui il tempo è stato fermato.

Non si è più tenuto conto delle sue leggi.

Lo si è privato di influenza sul corso degli eventi.

Lo si è ignorato e offeso.

A causa d’un ribelle

un tal Hiroshige Utagawa

(un essere che del resto

da molto, come è giusto, è scomparso)

il tempo è inciampato e caduto.

Forse non è che una burla innocua,

uno scherzo della portata di solo qualche galassia,

tuttavia a ogni buon conto

aggiungiamo quanto segue:

Qui è bon ton

apprezzare molto questo quadretto,

ammirarlo e commuoversene da generazioni.

Per alcuni anche ciò non basta.

Sentono perfino il fruscio della Pioggia,

sentono il freddo delle gocce sul collo e sul dorso,

guardano il ponte e la gente

come se là vedessero se stessi,

in quella stessa corsa che non finisce mai

per una strada senza fine, sempre da percorrere,

e credono nella loro arroganza

che sia davvero così.

Vestiario

 Ti togli, ci togliamo, vi togliete

cappotti, giacche, gilè, camicette

di lana, di cotone, di terital,

gonne, calzoni, calze, biamcheria,

posando, appendendo, gettando su

schienali di sedie, ante di paraventi;

per adesso, dice il medico, nulla di serio

si rivesta, riposi, faccia un viaggio,

prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,

torni fra tre mesi, sei, un anno,

vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,

e voi supponevate, e lui sospettava;

è già ora di allacciare con mani ancora tremanti

atringhe, automatici, cerniere, fibbie,

cinture, bottoni, cravatte, colletti

e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori

-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa

riutilizzabile per protratta scadenza.

L'ombra

La mia ombra e' come un buffone

dietro la regina. Quando lei si alza,

il buffone sulla parete balza

e sbatte nel soffitto col testone.


Il che forse a suo modo duole

nel mondo bidimensionale.

Forse al buffone non va la mia corte

e preferirebbe un diverso ruolo.

La regina si sporge dal balcone

e dal balcone lui si butta giu'.

Cosi' hanno diviso ogni azione,

pero' a uno ne tocca assai di piu'.


Si e' preso, il merlo, i gesti liberali,

il pathos con la sua impudenza

e tutto cio' per cui non ho la forza

- corona, scettro, mantello regale.


Lieve saro', ah, nell'agitare il braccio,

ah, lieve nel voltare indietro il capo,

sire, nell'ora del nostro commiato,

sire, alla stazione ferroviaria.


Sire, in quel momento sara' il buffone

a sdraiarsi sui binari della stazione. 

La gioia di scrivere

 Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?

Ad abbeverarsi a un’acqua scritta

che riflette il suo musetto come carta carbone?

Perché alza la testa, sente forte qualcosa?

Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,

da sotto le mie dita rizza le orecchie.

Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta

e scosta

i rami generati dalla parola “bosco”.

Sopra il foglio bianco si preparano al balzo

lettere che possono mettersi male,

un assedio di frasi

che non lasceranno scampo.

In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta

di cacciatori con l’occhio al mirino,

pronti a correr giù per la ripida penna,

a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.

Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.

Un batter d’occhio durerà quanto dico io,

si lascerà dividere in piccole eternità

piene di pallottole fermate in volo.

Non una cosa avverrà qui se non voglio.

Senza il mio assenso non cadrà foglia,

né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo.

C’è dunque un mondo

di cui reggo le sorti indipendenti?

Un tempo che lego con catene di segni?

Un esistere a mio comando incessante?

La gioia di scrivere.

Il potere di perpetuare.

La vendetta d’una mano mortale.

Disattenzione

 Ieri mi sono comportata male nel cosmo.

Ho passato tutto il giorno senza fare domande,

senza stupirmi di niente.


Ho svolto attività quotidiane,

come se ciò fosse tutto il dovuto.


Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,

incombenze,

ma senza un pensiero che andasse più in là

dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.


Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,

e io l’ho preso solo per uso ordinario.


Nessun come e perché – 

e da dove è saltato fuori uno così –

e a che gli servono tanti dettagli in movimento.


Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro

oppure

(e qui un paragone che mi è mancato).


Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti

perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.


Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno

più giovane,

il pane di ieri era tagliato diversamente.


Le nuvole erano come non mai e la pioggia era

come non mai,

poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La Terra girava intorno al proprio asse,

ma già in uno spazio lasciato per sempre.


È durato 24 ore buone.

1440 minuti di occasioni.

86.400 secondi in visione.


Il savoir-vivre cosmico,

benché taccia sul nostro conto,

tuttavia esige qualcosa da noi:

un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal

e una partecipazione stupita a questo gioco

con regole ignote.